Sono giorni di cortocircuito, di profonda confusione della Lega attorno alla partita dell’autonomia del Veneto. Giorni che meritano di essere raccontati e che ci consentono di fare una riflessione. Va detto innanzitutto che le proposte messe sul tavolo dal nostro PD Veneto per uscire dalle secche del nulla di fatto stanno smascherando il vicolo cieco nel quale si è ritrovata l’ostinazione nel rivendicare un tutto impossibile da ottenere. La reazione scomposta dei leghisti è sintomo di questa operazione di smascheramento. E lo si è visto in almeno un paio di occasioni più che eloquenti.
La prima è legata alla vicenda dell’approvazione, in Commissione Affari costituzionali della Camera, del testo che attribuisce a Roma Capitale i poteri legislativi di una Regione. Il capogruppo leghista Alberto Villanova, pensando di suonare la carica contro il PD, ha usato il solito spartito del ‘Roma ladrona’. Peccato che a dare il via libera a questo provvedimento, peraltro agli inizi del proprio iter, sia stato anche il suo stesso partito con in testa il coordinatore veneto Alberto Stefani, nonché, schierata in prima fila, Forza Italia. Non c’è dubbio: un chiarimento dalle parti della Lega, e più in generale all’interno del centrodestra, è a questo punto più che opportuno.
Ma, al di là delle polemiche e degli scivoloni altrui, questo episodio ci consente di affermare che noi siamo federalisti sempre, e non a corrente alternata. Per cui ben venga se anche da altre parti ci sarà una maggiore devoluzione di competenze al livello locale. Insomma, il riconoscimento a Roma Capitale va preso come occasione per chiedere più concretezza e arrivare all’autonomia anche in chiave veneta. Il voto unanime, trasversale, in Commissione, dimostra da questo punto di vista che esiste un livello politico capace di lavorare in modo costruttivo. Il medesimo metodo che, purtroppo inutilmente, stiamo proponendo in Veneto e in Consiglio regionale alla Lega.
Il secondo caso emblematico che merita di essere riportato riguarda il presidente del Consiglio regionale, Roberto Ciambetti. A margine di un convegno sui 10 anni del nuovo Statuto del Veneto, Ciambetti ha avuto modo di dichiarare che per l’autonomia non c’è nulla da fare in questa legislatura parlamentare. Ne parla come se al governo del Paese non ci fosse la stessa Lega e lo stesso centrodestra cui appartiene. E ne parla addirittura in senso contrario allo stesso Zaia, che in questi mesi ha più volte spinto sull’acceleratore malgrado continui ad insistere su uno schema che, come abbiamo proposto, deve essere rivisto. Ecco perché, dopo lo scivolone di Villanova su Roma Capitale, il cielo sopra la Lega appare davvero sempre più confuso. L’uscita di Ciambetti, come è facilmente intuibile, ha un sapore elettorale e pretende di lanciare l’ennesima promessa, di un’autonomia raggiungibile solo se vince il centrodestra. Un disco rotto smentito dai fatti. Noi invece riteniamo che questa partita debba e possa essere giocata ora, senza farne motivo di contrapposizione tra partiti ma cogliendo l’occasione di uno scenario di governo bipartisan.
Come PD, a livello veneto e nazionale, stiamo lavorando con proposte concrete che puntano a raggiungere un punto di equilibrio attorno alla Legge quadro, con un accordo in grado di consentire al Veneto di ottenere maggiori competenze e maggiore autonomia. Il nostro schema, che punta alla attribuzione di un pacchetto di materie realizzabili e non di 23 senza sbocco, è proprio il contrario di quanto afferma la Lega: significa puntare dritti all’obiettivo e non mirare al tutto per poi dire che non se ne fa niente per colpa degli altri. Colpevole è il giocare ad alzare sempre la posta per basse logiche di propaganda.